IL CORSARO

Periodico studentesco berchettiano di attualità, cultura e libero scambio di idee

Pulchritudo est veritatis splendor” San Tommaso d’Aquino

        

ANNO IV NUMERO II

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MAGGIO 2004

                           

Casella di testo: Editoriale
L’11 marzo l’Europa tutta ha tremato; dopo il primo atto del “September Eleven” e dopo le avvisaglie del pericolo in diverse parti del globo, la minaccia terroristica si è fatta terribilmente vicina ai nostri paesi. Mentre prima, bene o male, tra noi e questi assassini (e definirli così è ancora un complimento) c’era un Oceano o quanto meno erano delimitati dal Tigri e dall’Eufrate, ora, quest’atto ridesta noi europei da quella “veglia assonnata” in cui ci beavano davanti alla minaccia terroristica interna al vecchio continente. Ciò che da parte del neopresidente spagnolo Zapatero segue quest’evento è l’immediato ritiro delle milizie operanti in Irak. Si palesa a questo punto l’obbiettivo di Al-Queida che, ritenendo che gli Stati Uniti non possano resistere a lungo in Irak, vuole togliere agli americani qualsiasi appoggio da parte degli Stati alleati e dell’Onu, così da avere meno presenze occidentali possibili vicino alle basi principali del fondamentalismo islamico. Per questo la guerra è stata un errore, come ora lo sarebbe abbandonare l’Irak a se stesso. Nei giorni che hanno seguito l’attentato a Madrid ha regnato ovunque lo sgomento per quello che un uomo può fare contro un suo simile. La stessa consapevolezza c’era forse stata dopo il crollo delle Twin Towers, ma ora la minaccia è maledettamente più vicina. Il poeta tragico Sofocle scrisse che nulla è più terribile e straordinario dell’uomo. Quando allora questo lato terribile dell’uomo sembra l’unico presente occorre ribattere, reagire. Reagire in forza di qualcosa. Qualcosa che per me è la mia fede e che per qualcun altro può essere la sua esigenza di pace o di giustizia. Davanti a una così grande tragedia penso sia prima di tutto fondamentale ribadire un concetto che è stato di fondamentale importanza per la nascita della mentalità europea: l’importanza della singola persona. Credo che in risposta a tutti questi sterminatori che stimano tanto poco la vita dell’altro da spezzarne 190 per un loro fine politico, questa sia la risposta migliore che l’Europa unita possa dare.

Matteo Zoppi
 


IL DOPOGUERRA DELLA SINISTRA

Il tema della guerra in Iraq è sempre stato, dacché se ne è parlato, un tema per così dire delicato. La sinistra, da "sempre" contraria ad ogni tipo di guerra, ha manifestato il proprio sdegno, scendendo nelle pubbliche piazze d'Italia, agitando vessilli multicolori (in origine la bandiera rappresentante il gay pride -orgoglio dei gay-), sgolandosi con slogan del tipo “Non in mio nome” o  “fuori l'Italia dalla guerra”, mentre l'Intellighenzia della sinistra vestiva la propria causa, citando l'articolo 11 della costituzione della Repubblica Italiana, che recita: "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente in condizioni di parità con gli altri stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo". Ora è necessario soffermarsi su di un punto fondamentale, del quale la sinistra sembra non aver tenuto in conto; in seguito alla drastica sortita di George W. Bush, la cui guerra preventiva si è formalmente conclusa il 10 aprile 2003, l'attuale Governo Italiano, che pure aveva appoggiato la decisione del Presidente americano, non ha inviato in Iraq alcun contingente di forze armate. Le Forze Militari Italiane (il contingente di carabinieri) successivamente inviate, avevano l'unico scopo di portare soccorsi e medicinali, alla popolazione irachena, che come riportato dai mass media, accoglieva festosa i soldati Italiani, che portavano loro acqua, viveri e qualche indispensabile sorriso. Ma la cecità della sinistra, sembra non desistere e anzi volersi prolungare. Si vota per il prolungamento o meno della missione Italiana in Iraq e la maggioranza vota compatta verso il sì, che si affermerà poi in aula su di uno stiracchiato gruppo di astenuti e uno più o meno esiguo costituito da no categorici. Una vittoria quella della maggioranza, che delinea per quanto riguarda tale argomento, la determinazione e la coerenza, che vigono all'interno dalla coalizione della Casa delle Libertà, e degli esponenti della destra italiana. Ciò mentre la sinistra, recepito il secco aut aut dal fronte Gino Strada (con noi o contro di noi), palesa un disaccordo con il quale sfumano le reiterate speranze per un fronte compatto, che a dir la verità, ben pochi avevano visto profilarsi all'orizzonte. Si è parlato dei no ambiguamente, perché è Strada che, lanciato l'anatema sui traditori della causa (persa), cui fanno eco Casarini e Caruso dal fronte dei disobbedienti, ha affermato che "...chi non ha votato no, è un delinquente politico", snobbato per lo più dalla sinistra Ds e quella dei margheritoni. Nella confusione generale i voti contrari, effettivamente riscontrati sono stati 68: Prc, Verdi, Pdci, correntone Ds e qualche sporadica eccezione in un vano tentativo di raggiungere il quorum, che rispedisse il decreto al mittente; tre della maggioranza Ds e un margheritone. Ma ciò che è sconcertante è che a determinare la vittoria della maggioranza ha contribuito anche l'incredibile confusione che regnava in aula ed in transatlantico, che non ha permesso ad esponenti della sinistra di comprendere quali decreti si stessero votando, ed ha fatto sì che molti votassero contro decreti a favore di missioni istituite dal precedente governo di centro sinistra, quali quelle in Albania e Kosovo, per citarne alcune. Nulla è ora più incerto del prossimo passo della sinistra, o meglio dei mille passi in mille differenti direzioni.

 

Maestrelli Francesco


SOMMARIO

Pagina 2: Comunicazione del prof. Panseri

Pagina 3: Della Logica aristotelica che ci ha smascherati / Nel                     Mondo di Tolkien

Pagina 4: Alla scoperta di Milano / Colonna Sonora

Pagina 6: Cinematic / Topi di Biblioteca

Pagina 7: Topi di Biblioteca / Un pomeriggio in Centro

Pagina 8: Taz & Bao / Redazione

 
 

 

 

 

 

 

 

 


 


 

 

 


Pubblichiamo una comunicazione che il professore Guido Panseri ci ha chiesto di divulgare:

 

COMUNICAZIONE

AI DOCENTI,

AL PERSONALE ATA,

AGLI STUDENTI,

AI GENITORI

DEL LICEO GINNASIO BERCHET

 

  In tutte le sedi disciplinari [C.N.P.I.- Consiglio di Disciplina per il Personale Docente (Parere del 24/11/03); Centro Servizi Amministrativi di Milano (Provvedimento del 22/12/03)] è emersa l’irrilevanza ai fini disciplinari dei comportamenti ingiustamente contestatimi e gli atti relativi sono stati alla fine archiviati (19/01/2003).

  Il Ministro dell’Istruzione, visto il parere vincolante espresso dal Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione - Comitato orizzontale relativo alla Scuola Secondaria Superiore - nell’adunanza del 18/06/03, ha accolto (Decreto del 01/03/04) il ricorso da me presentato il 20/11/02 per l’annullamento della sanzione disciplinare dell’avvertimento scritto inflittami dal Dirigente il 26/10/02.

 

I FATTI MI HANNO DUNQUE CHIESTO SCUSA.

A ME QUESTO BASTA.

 

Il mio apprezzamento ai docenti, al personale ATA, agli studenti, ai genitori, alle sezioni sindacali CISL e GILDA e a quegli iscritti CGIL del Berchet che mi hanno espresso fin dall’inizio la loro solidarietà e, in modo diverso, il loro sostegno.

 

                                                                                                                              Guido Panseri

Milano, 15/04/2004

 

 

DELLA LOGICA ARISTOTELICA CHE CI HA SMASCHERATI

 

Longobardi – Il ritorno

“Il buon senso è tra tutte le cose quella meglio distribuita”. Così Cartesio cominciava il suo Discorso sul Metodo e in questo noi confidavamo componendo il nostro articolo e non essendo abituati a correggere tutto ciò che scriviamo Logica di Aristotele alla mano. Ad ogni modo non mancheremo in futuro di far visionare le nostre bozze a mastro Longobardi.

“Non è sufficiente infatti essere dotati di buon ingegno, l’importante è saperlo applicare bene” continua Cartesio. Chi ha orecchie per intendere…

 

Chi di Logica ferisce, della stessa perisce

Abbiamo inoltre rintracciato a carico del collega Longobardi un precedente da far invidia a Striscia la Notizia e che potrebbe competere in stile con la propaganda elettorale statunitense della peggior specie: l’anno scorso Federico partecipato al certamen di prosa interno al Berchet. Nulla di strano fino a che non andiamo a vedere le graduatorie. Federico ha vinto… ma… è stato così bravo che l’hanno classificato anche 2°! Un po’ singolare se consideriamo “la contradizion che nol consente”.

Non c’è dubbio, un paradosso all’altezza di quello di Zenone, della gara tra Achille e la tartaruga (gara in cui, tra l’altro, Longobardi è arrivato terzo).

 



 

Matteo Zoppi

Andrea Caslini

 

NEL MONDO DI TOLKIEN

 

Il 4 febbraio ’04 si è tenuto nell’aula Magna del Berchet un incontro su John Ronald Reuel Tolkien. Vorremmo riproporre le parole del professor Paolo Gulisano, laureato in medicina e scrittore di saggi, e porre spunti di riflessione per voi lettori del Corsaro.

Il professore afferma che il successo di Tolkien è dovuto al fatto che non si è limitato a raccontare una fiaba ma ha voluto creare un mito, che è il tentativo dell’uomo di dare una risposta alle domande che da sempre si pone: “Chi siamo? Che scopo ha la nostra vita?”.

“Devo dire che tutto questo è un mito – dichiara Tolkien – e non una nuova specie di religione o di visione […]. Per quanto riguarda il puro espediente narrativo, questo, naturalmente, mi è servito per cercare esseri provvisti della stessa bellezza, dello stesso potere e della stessa maestà degli dèi dell’alta mitologia, che possono però anche essere accettati, diciamo pure audacemente, da chi creda nella Santa Trinità”.

Ma Tolkien ha costruito un mito non per dare delle risposte, ma per porre delle domande a quella società che già allora non se ne poneva e per parlare dell’eroismo, del mistero e del coraggio.

Il grande autore della trilogia “Il Signore degli Anelli” esplicita i sogni più veri che si nascondono nel cuore di ogni uomo: la tendenza al bello, al vero ed al sublime.

Sono molti quelli che giudicano la lotta tra il Bene e il Male una banalità. Ma in realtà questa lotta non è limitata allo scontro tra esseri buoni ed esseri malvagi ma è all’interno dell’animo di ogni personaggio.

Il Male viene rappresentato dall’anello che è il simbolo del desiderio di potere. Questa ultima parola deriva dal verbo latino “possum” che significa “poter fare”, “agire”. Diverso è, invece, il significato di “autorità” che deriva dal verbo “augeo” e vuol dire “far crescere”. Infatti Aragorn fa crescere in tutti il coraggio ed è per questo che è riconosciuto come autorità.

 

Gulisano dice, inoltre, che questo libro è una ricerca, ma al contrario; infatti non si conquista nulla ma si compie la rinuncia al Male, col quale non ci sono mai compromessi.

La lezione più grande de “Il Signore degli Anelli” è che la rinuncia viene fatta per un di più.Per esempio, nelle miniere di Moria, Gandalf mette in salvo gli altri e per loro rinuncia alla sua stessa vita, che è la forma più grande di eroismo. Dopo aver combattuto con il Balrog che li aveva assaliti, si trasforma da Gandalf il Grigio in Gandalf il Bianco. La sua rinuncia lo ha portato a un’evoluzione.

Il professore ci informa che in passato è stata criticata la scarsa quantità di donne presenti nell’opera e che anzi Tolkien venne accusato anche di misoginia. Per Tolkien il fatto più importante però è la qualità dei personaggi femminili non la quantità. Le donne infatti, come gli uomini, compiono una rinuncia. Galadriel rinuncia all’anello, pur avendolo desiderato a lungo perché comprende che all’Oscuro Signore si sarebbe sostituita una Regina che tutti avrebbero amato, disperandosi.

Arwen rinuncia all’immortalità per vivere una vita breve ma al fianco dell’unico uomo che ama. In quest’ottica nemmeno l’essere immortali è la condizione ideale. La scelta che gli elfi fanno lasciando la Terra agli uomini la compiono perché sono stanchi della vita, delle continue guerre, frutto dei ripetuti errori degli uomini.

Gli hobbit, pur essendo gli esseri meno importanti della Terra di Mezzo, sono i personaggi principali di questa storia. Frodo ha il compito di salvare il mondo, Sam quello di conservare la memoria dell’impresa.

L’umiltà che Frodo dimostra nel dire: “Prenderò io l’Anello, ma non conosco la strada” riassume lo spirito di questo piccolo hobbit, fragile e, fino ad allora,  isolato dal resto del mondo, eppure capace di assumersi il peso di un fardello tanto grande quanto terribile e di mostrare  la più completa umiltà e la più totale adesione alla realtà che gli è posta davanti.

Tolkien, conclude Gulisano, ci dice che se un hobbit è riuscito a salvare il mondo allora anche noi possiamo farlo.

 

 



Halina Buora

Federica Grassi

 

Casella di testo: ALLA SCOPERTA DI MILANO: Chiesa di Santa Maria Annunciata in Chiesa Rossa

Uno delle opere d’arte più inaspettate e sorprendenti di Milano si trova in una chiesa di periferia. Non aspettatevi capolavori in senso classico ma un’emozione straordinaria fatta solo di luci. La chiesa è quella di Santa Maria Annunciata in chiesa Rossa edificata nel 1932 su disegno dell’architetto Muzio (lo stesso che ha fatto la Triennale) ma completata, per quanto riguarda il pronao, nel 1960. La chiesa, situata sul naviglio Pavese, ha una pianta a croce latina e una navata centrale coperta da una volta a botte visibile anche in esterno.
Ma la sorpresa viene dalla luce emanata dai neon dell'artista americano Dan Flavin, nato nel 1935 e morto nel 1996. Questa è l'ultima sua opera: neon blu e verdi per la navata centrale, rossi per il transetto, oro per l'abside, con un chiaro richiamo ai valori mistico - simbolici di questi colori.
L’arte di Dan Flavin si può chiamare arte ambientale perché, con le sue opere, l’artista trasforma tutto l’ambiente in cui noi ci troviamo. Usando le luci al neon crea delle atmosfere cariche di incredibile suggestione.
 L’opera è stata realizzata grazie alla sponsorizzazione di Prada che ha anche ospitato nella sede della sua Fondazione un’importante mostra di Dan Flavin. Miuccia Prada e Patrizio Bertelli, suo marito, hanno spiegato così il progetto: "L’istallazione vuole essere una discussione tra ricerche artistiche e ambiente sacro, in modo che la presa diretta tra opera e contesto, tra visuale e rituale, faccia entrare in simbiosi la dimensione visuale con la dimensione religiosa. Il risultato è un'osmosi che trasforma l'arte in sacro e il sacro in arte".
Se l’arte di Dan Flavin vi affascina vi consiglio una seconda tappa a villa Panza a Biumo, Varese. Qui il conte Panza ha collezionato le più importanti opere di Dan Flavin nella sua stupenda villa che oggi è visitabile da tutti.
Carolina Frangi


 

 

LA PASSIONE DI CRISTO

 

Il film di Mel Gibson, che ha recentemente suscitato critiche e apprezzamenti dai più diversi ambienti, ci fa immedesimare in un fatto realmente accaduto nella storia: la passione, la morte e la resurrezione di un uomo, Gesù di Nazareth, che aderisce al suo compito, teso a rispondere con tutto se stesso al destino.

Questo film pone una domanda a chiunque lo guardi, sia esso ateo o credente, “chi è Gesù Cristo?” e di conseguenza “dov’è adesso?”.

Le stesse domande sono poste oggi a noi, poiché ognuno vi deve rispondere. Infatti queste domande si insinuano da duemila anni nella storia e nella cultura.

Certo, è un film cruento, che non ci risparmia sangue né dolore, ma in quest’opera non è la violenza a prevalere, ma l’amore, l’amore che lega Cristo al Padre e con cui Cristo guarda ogni uomo, l’amore che si coglie negli sguardi tra Gesù e Sua Madre, che Lo segue addolorata, mai pietosa, e Lo sostiene consapevolmente nel Suo compito.

Colpisce soprattutto lo sguardo di Gesù da cui il Cireneo non si vorrebbe staccare.

Bisogna riconoscere a Mel Gibson il merito di aver creato un’opera cinematografica che riassume la vita di Cristo raccontando solo un giorno, l’ultimo. Geniali e commoventi i flash-back che aiutano a cogliere che tutto ciò che accade è dentro ad un disegno che Cristo ha scelto ed accettato.

Gesù non è mai solo: sono infatti bellissime le figure della Maddalena, di Giovanni, del Cireneo e di molta gente del popolo, piena di silenzio colmo di significato.

La resurrezione è solo accennata, ma esalta la vittoria di Cristo.

Non si può dire che il regista non abbia vissuto ed esplicitato l’esperienza cristiana, senza sentimentalismi, Anche andando controcorrente e sfidando l’attuale critica cinematografica.

 



 

Halina Buora

Federica Grassi

COLONNA SONORA – a cura di Andrea Caslini

The Darkness

 

 

Recentemente “The Darkness” è stata votata come la migliore rock band degli ultimi vent’anni. Indubbiamente questa decisione può sembrare affrettata dal momento che non si sa se si tratta di una delle tante meteore  musicali o se sentiremo ancora parlare dei quattro inglesi che hanno sbancato il mercato della musica con oltre un milione di copie vendute del loro album “Permission to Land”. In ogni modo, non si dovrebbe esaltarli o, come succede spesso, etichettarli come buffoni in base ai loro vestiti appariscenti e ai gorgheggi del loro frontman o come semplici copie di Queen o altri gruppi da cui prendono spunto. Insomma, cadere nella superficialità dell’apparenza non può essere il metro di giudizio per un fenomeno musicale così imponente.

 

LA STORIA

Tutto nasce nel Suffolk, in Inghilterra. Nella città di Lowestoft vivono i due fratelli Hawkins, Justin e Dan. Entrambi decidono di dedicarsi interamente alla chitarra. Accorgendosi del loro enorme potenziale, formano una cover band con Dan al microfono. Nel 1997, però, Justin abbandona questo esperimento, per andare a frequentare un istituto tecnico, mentre il fratellino si reca a Londra dove incontra Frankie Poullain, un bassista, con cui divide un appartamento. Durante i weekend Justin e un suo compagno di scuola Ed Graham, batterista, raggiungevano i due.  I due fratelli e Frankie formano una band prog rock di nome Empire, anche se questa rimane solo un’unione senza troppe pretese. Sotto la guida di Justin, il gruppo aumenta la pesantezza del suono. In ogni caso rimaneva ancora da decidere chi sarebbe stato il cantante. La risposta arriva tempo dopo quando ad una gara di karaoke, Justin si lancia nell’interpretazione di “Bohemian Rhapsody” la nota canzone dei Queen. La sua performance è strepitosa: Justin canta mimando ogni singola parola della canzone. Per il fratello Dan non ci sono dubbi: “Ho capito; sarai tu il nostro frontman”.

La prima cosa a cui i due fratelli pensano è chiamare Frankie Poullain, che intanto si era trasferito in Venezuela, e il batterista Ed Graham, che lascia volentieri la band in cui stava suonando per ricongiungersi ai suoi amici. È la nascita de “The Darkness”.

Sono in una band con mio fratello e i miei migliori amici…” Justin Hawkins

 

La neonata band comincia una serie di concerti per tutto il nord di Londra diventando conosciuta in breve tempo come la “band del sabato sera” crescendo musicalmente e dal punto di vista dello spettacolo. Ed è proprio questo che attira piano piano un sempre più grande gruppo di afficionados.

Si prendono tutti troppo sul serio al giorno d’oggi, odio l’arroganza dei gruppi che si convincono di conquistare l’interesse di tutti solo grazie alle loro emozioni. Se guardi i gruppi di 25 anni fa, noti che hanno tutti il sorriso sulle labbra. Noi abbiamo solo fatto un salto nel tempo. Frankie Poullain

I quattro fanno il tutto esaurito in ogni loro data inglese mostrando che il heavy rock dalle ampie tinte glam con loro si è ripresentato a tutta forza. L’album “ Permission to Land” è solo il coronamento del loro cammino. Un milione di copie vendute in tutto il mondo assegna loro agli U.K. Music Award la statuetta come miglior gruppo dell’anno che per un artista inglese è quanto di massimo sperare.

Sappiamo di avere davanti molta fatica. Nessuno vuole cambiare le regole, ma sappiate che se riusciamo a slegarci, potremmo anche cambiare tutto quanto!”. Dan Hawkins

 

 

Quanto durerà la loro avventura? Saranno solo una meteora? Li vedremo scomparire tanto in fretta quanto hanno impiegato ad apparire agli occhi del mondo? Questo si vedrà solo col tempo; intanto ringraziamoli per averci riproposto un rock divertente, legato al passato senza trascurare evidenti innovazioni.

 

IL CONCERTO DEL 23/02/2004

Lunedì 23 febbraio

Ore 20.15: il gruppo spalla di nome “Wildhearts”, una band dalla storia travagliata, fa il suo ingresso sul palco per presentare il loro nuovo album. Il pubblico si presenta abbastanza caloroso, qualcuno conosce le loro canzoni, qualcuno addirittura canta.

Sul lato del palco appare il bassista dei Darkness che assiste distaccatamente all’esibizione; le tre Gibson Les Paul dei fratelli Hawkins lasciano intravedere i loro manici. Per il resto, tutto tace.

Ore 21.00: i Willdhearts concludono, ringraziando, il momento dedicato a loro. Immediatamente un telo viene calato davanti al palco, si riaccendono le luci in sala. Comincia il lavoro di cambio degli strumenti dietro le quinte.

Ore 21.30: le luci si spengono. Una musica irlandese a tutto volume inonda la sala mentre il telo appeso al soffitto che copre il palco viene illuminato di verde e poi di blu. Il palco si illumina e una sagoma appare da dietro il telo sparando a tutto volume i primi accordi di “Black Shuck”, la prima canzone dell’album Permission to Land. Il telo finalmente viene fatto cadere e nel mezzo di luci psichedeliche appare la band al completo. Justin Hawkins è vestito con un sobrio paio di pantaloni attillati a zampa rosa e un giubbettino bianco di un materiale indescrivibile. Cominciano i primi spintoni nel parterre. Fa seguito “Growing on me”. I pezzi successivi sono un boogie-woogie elettrico e  Making Out”. Justin Hawkins canta, suona le sue Les Paul, interagisce con il pubblico, chiacchiera in inglese pensando che il pubblico capisca senza problemi e crea spettacolo; ogni tanto si sposta dal centro dell’attenzione per lasciare spazio al fratello che si cimenta negli assoli. Il batterista non sembra molto attirato dallo spettacolo, nemmeno quando il pubblico, su invito di Hawkins gli canta un Happy Birthday. Il bassista si limita a qualche sorriso. Seguono “Get Your Hands Off My Woman”, “Love is Only a Feeling” e “Friday Night”. Una breve interruzione lascia il tempo a Hawkins di cambiarsi vestito: mentre gli altri membri del gruppo ripetono il riff di apertura di “Stuck in A Rut”, rientra con indosso un completo nero argento e bianco. Segue l’acclamatissima “I believe in a Thing called love” e come ultima “Love on the rocks with no ice”. L’assolo di quest’ultima viene allungato e affidato interamente a Justin Hawkins che improvvisa una giro tra il pubblico portato in spalla da un paio dei suoi roadie. L’assolo sfocia in un inevitabile “We Will Rock You”, mentre Hawkins completa la sua escursione e ritorna sul palco.

Si conclude così una serata di grande spettacolo e buona musica anche se personalmente me la sarei aspettata un po’ più pregna, forse con qualche cover degna di nota.

 


 


 

 

CINEMATIC… “Io non ho paura”

VOTO: 7/ 8

 

 

La trama di questo film, tratto da un libro di Ammaniti, una delle più belle pellicole italiane realizzate negli ultimi tempi, racconta un fatto di cronaca accaduto negli anni ’70. Un bambino di dieci anni scopre un suo coetaneo imprigionato in una buca nei pressi del suo villaggio. Scoprirà che è stato rapito da alcuni uomini del paese, tra cui suo padre, in accordo con un milanese (interpretato da un ottimo Abatantuono). Improvvisamente percepisce la brutalità del mondo degli adulti che scoperto il suo rapporto con questo ragazzo e non volendo complicazioni, gli impediscono di rivederlo.

Il regista Gabriele Salvatore piazza la telecamera a un metro e trenta di altezza, a misura di bambino, tagliando spesso nell’inquadratura la faccia degli adulti; giustifica questa sua scelta dicendo:« Mi ha molto colpito che questa storia così forte fosse vista con gli occhi di un bambino. Al cinema gli occhi sono la macchina da presa». Da notare il forte contrasto presente durante tutto il film tra il giallo dorato dei campi di grano dove i bambini giocano e il nero cupo della terra che sembra inghiottire i due bambini.



Matteo Zoppi

 

TOPI DI BIBLIOTECA… “20.000 leghe sotto il mare”

 

 

Trama:Il libro è stato scritto da Jules Verne e narra le vicende svoltesi dall’anno 1866 fino alla fine del 1868. Proprio nel 1866 , infatti, alcune navi importanti che collegavano l’America e l’Europa giungono a destinazione seriamente danneggiate. L’evento suscita grande scalpore e si ipotizza l’esistenza di un enorme mostro marino dotato di un robustissimo sperone, arma con cui attacca le sue vittime. Per risolvere l’enigma il governo degli Stati Uniti arma la fregata Abraham Lincoln e la manda alla ricerca della bestia per ucciderla. Dopo non molto tempo la scovano e la bersagliano di proiettili. Il mostro risponde con due tremende trombe d’acqua. Tutto ciò provoca la caduta in mare di tre uomini: lo scienziato Pierre Aronnax, il suo fidato domestico Conseil e Ned Land il re dei fiocinieri determinato a colpire la sua preda. La situazione è tragica per i tre che devono nuotare per ore anche se sfiniti. Il mostro, però, torna a recuperare i naufraghi. Scoprono, così, che ciò che avevano chiamato mostro è invece un sottomarino mosso da energia elettrica, comodo, sofisticato e spazioso. Lo comanda il capitano Nemo, un personaggio enigmatico che si rifiuta di spiegare perché vagabondi per i mari, perché aggredisca le navi altrui e, soprattutto, perché odi e disprezzi il genere umano e la sua società. I tre rimangono a lungo a bordo del sottomarino. Ogni tanto escono per una passeggiata sul fondo degli oceani alla ricerca di perle e per vedere da vicino le meraviglie marine. Cammineranno perfino sulle rovine della leggendaria Atlantide.

 Accade che un giorno, però, i tre scoprono la vera natura del sottomarino e sperimentano la sua potenza distruttiva. Solo in quel momento decidono di fuggire mettendo in atto un piano molto complesso. Non sanno però che non ne avranno bisogno perché la natura li aiuterà in un modo che nessuno avrebbe mai potuto prevedere. Tutto il resto lo lascio a voi e spero che il libro vi piaccia come è piaciuto a me.

Giudizio critico: Mi sono divertito a leggere 20000 leghe sotto i mari perché è un libro avvincente, pieno di situazioni che ti lasciano con il fiato sospeso. È come vivere personalmente le avventure del capitano Nemo, nel fantastico sottomarino Nautilus e nei fondali oceanici (resi benissimo da Verne) con i compagni di avventure del comandante. Il libro mi ha fatto ragionare su come molto spesso gli uomini usino la vendetta e non il perdono nel trattare con i propri simili. Nemo è in effetti un grand’uomo, ma è solo nel suo proposito di vendetta; dice nel capitolo XXXVIII: “Io sono il diritto! La giustizia!” Una solitudine che lo porta quindi ad essere il principio del bene e del male, che lo porta alla vendetta, naturale conseguenza di tutte le azioni che l’uomo compie quando vuole fare da sé.

 



Tommaso Caslini

 

 

TOPI DI BIBLIOTECA… “L’Orlando furioso

 

Leggendo ed approfondendo il poema rinascimentale l’Orlando Furioso mi sono resa conto che Lodovico Ariosto appare come un prestigiatore che fa nascere di fronte ai nostri occhi, con l’abilità della poesia, castelli incantati, cavalli alati, combattimenti terribili, delicate e buffe storie d’amore. Il poema trae ispirazione dall’ Orlando Innamorato del Boiardo, mentre l’Ariosto non fa altro che proseguirne gli eventi. Lo scenario è quello di un torneo tra cavalieri cristiani e musulmani, indetto da Carlo Magno nel quale la comparsa della bellissima Angelica, principessa orientale, porta trambusto visto che tutti i cavalieri se ne innamorano. Angelica propone a ciascuno dei presenti un duello con il suo valoroso fratello, promettendo che sposerà il vincitore. Il fratello viene ucciso ma Angelica non vuole sottostare al patto, così fugge inseguita dalla folle schiera di pretendenti.

Se questo scorcio dell’Orlando Innamorato del Boiardo si intreccia con la vicenda dell’Orlando Furioso, la pazzia dell’eroe, che potrebbe diventare la tragedia dell’amore non corrisposto, si tramuta invece in una serie di episodi divertenti. Gli eroi di quest’opera hanno dimenticato i grandi ideali della patria e della fede e ora combattono per un obbiettivo più terreno e più comune: l’amore per una donna.

Ho trovato questo poema molto moderno perché i personaggi dalle grandi gesta epiche vengono visti come uomini della vita di ogni giorno. Possiamo quindi ipotizzare che i due poemi ( l’Orlando Innamorato e

l’Orlando Furioso) siano stati una specie di precursori delle attuali soap-opera, senza per questo apparire dissacratori della letteratura?

 


Laura Moro


 

 

UN POMERIGGIO IN CENTRO

 

Un pomeriggio qualunque,e tanto tempo da perdere. Ecco gli ingredienti per un mio pomeriggio in via Montenapoleone (dimenticavo di dire che ero andato anche per vedere qualche bella modella, infatti era la settimana della moda!!).

La via è veramente graziosa, piena di negozi di gran lusso, frequentata da ricchi dell’alta borghesia, che arrivano sfrecciando sui loro macchinoni, in una gara di ostentazione sempre più esasperata. Tuttavia è anche ricca di scorci indimenticabili, che per la loro bellezza ricercata, ti rimangono nel cuore. È il caso della splendida palazzina Valsecchi: entrando, vieni accolto da uno scorcio sul bellissimo giardinetto in cui compaiono statue di gusto classico di indubbio valore. Sul giardinetto si affacciano alcune finestre corredate da vetri piombati che conferiscono all’ambiente quella atmosfera di lusso e storicità che permangono bene o male in tutto il quadrilatero della moda. Tra via Montenapoleone e via Bigli vi è un piccolo passaggio che attraversa orizzontalmente un palazzo: vasche di pesci rossi, qualche pianta (tutto curato nei minimi particolari) attendono l’ignaro visitatore che, come me, rimane meravigliato di trovare un angolo di così rara bellezza.

Passeggiando,si intravedono tra i vari palazzi scorci di giardini molto suggestivi, inaspettate isole verdi in mezzo a un mare di cemento. Non può mancare anche una visita allo storico bar Cova, che da più di cent’anni stuzzica con i propri dolci il palato di avventori milanesi e turisti giapponesi (che ormai hanno ufficialmente dato il via alla “colonizzazione turistica” di Milano!). Sono anche da notare alcune vetrine di grandi stilisti, e la cura con cui espongono le proprie opere e la loro location: si passa dal palazzo di Armani, al negozio di Trussardi con magnifica entrata in marmo nero e marmo bianco, al megastore di Ralph Lauren, al negozietto del gioielliere di lusso in cui sono esposti articoli sopra i 500 euro…. Sicuramente il quadrilatero della moda merita una visita perché espressione della mondanità e del multiforme lusso. Comunque sono convinto che anche a voi capiterà di restare meravigliati e, perché no, di vedere anche qualche modella (visione celestiale!).

 



Tommaso Molteni

 

                                                                     


 

 

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Tommaso Bardelli III C, Pietro Bregni III C, Lucia Bonacina III C, Halina Buora V F, Andrea Caslini II F,Tommaso Caslini IV O Carolina Frangi I H, Antonella Gandini III C,Federica Grassi V N, Francesco Maestrelli V O, Tommaso Molteni II C, Laura Moro V B