“FLOGISTO”

 

 

A CURA DEI RAGAZZI DEL COLLETTIVO

 

 

NOVEMBRE 2003 N°0

 

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POLITICA/ ESTERI

QUI SCUOLA

CULTURA

CHE FARE?

*Iraq solo terrorismo?

*Storie di ponti e di guerra

*Un premier in ginocchio.

*Croce, crociate e

 crocefissi.

*John Berchet High

 School.

*L’autonomia scolastica

*Il valore della Giustizia, 

  il messaggio del Critone

*Elephant.

*Muse.

* Non solo milan o inter!

*NoTiZie daLla MetrOpoLi

 

 

 

 

 

 

 

 

Editoriale

 

Dopo la Locomotiva e il Megafono, ecco a voi il Flogisto!

Quest'anno ci siamo posti tre obbiettivi:

Questo giornale deve servire a creare un dibattito all'interno della nostra scuola sui temi che verranno via via proposti. Dall'Iraq all'Europa, dal Berlusca alla Moratti, dal cinema alla musica, dal campionato a Jennifer Lopez. Questo giornale deve servire a creare il famoso "altro Berchet" di cui si parla tanto. Siamo 1200, troppi per conoscerci tutti. Sarebbe bello che questo giornale servisse a renderci un po' più uniti, a farci vedere la scuola come una comunità di studenti e non come un luogo di tortura. Infine non possiamo nascondere che il Flogisto nasce come organo del Collettivo.  Quando diciamo che questo giornale è l'organo del collettivo però  non intendiamo dire che censureremo opinioni diverse o faremo un giornalino solo di politica, sarebbe contraddittorio con gli altri due obbiettivi che ci siamo posti. Il Flogisto vuole essere il giornale degli studenti, non il giornale del Collettivo..

 

Speriamo di ricevere da parte vostra articoli, opinioni, critiche e commenti che ci aiutino a rendere questo giornale il più vostro possibile. Considerate questo primo numero  come un esperimento, una bozza da sviluppare con il vostro aiuto. Volete un angolo per la posta del cuore? Un numero speciale sulla Costituzione Europea? Più musica? Un articolo sul cinema giapponese? Una rubrica di pettegolezzi?  Scrivetecelo o, meglio ancora, scrivete voi ciò che vi piacerebbe leggere e noi provvederemo a pubblicarlo.  Come faremo a decidere cosa pubblicare? Ci piacerebbe pubblicare tutto. Ovviamente devono essere articoli comprensibili, possibilmente non troppo lunghi e rispettosi delle opinioni altrui ma per il resto crediamo che si debba dare a tutti la possibilità di esprimersi a prescindere dalle opinioni e persino dalle capacità giornalistiche. Per farci pervenire articoli, lettere, suggerimenti critiche e qualsiasi altra cosa vi sembri interessante spediteli all'indirizzo "flogisto@liceoberchet.it" (grazie prof. Gherlone!)

 

Iraq: solo terrorismo?

 

La televisione riversa quotidianamente nelle nostre case telegiornali traboccanti notizie circa gli sviluppi della guerra in Iraq. Solitamente cattive notizie, quando non pessime. Non passa settimana senza che militari  americani perdano la vita, e non sempre per colpa altrui, o senza che un
attentato kamikaze uccida decine di civili inermi. Tutto ciò viene identificato con un'unica parola: terrorismo. Solo di rado si sente utilizzare "guerriglia" oppure "resistenza". Ma siamo sicuri che il termine "terrorismo" sia poi così corretto per descrivere la complessità degli avvenimenti? E' possibile accomunare nello stesso termine manifestazioni diverse di fenomeni diversi?
Ascoltando attentamente i telegiornali mi sono reso conto che, spesso, le vittime militari e le vittime civili vengono poste sullo stesso piano, sia che siano uccise in combattimento o in un attacco, sia che vengano barbaramente trucidate da un anonimo uomo-bomba; ma così facendo sembrano quasi appiattirsi ad essere semplici cifre, prive di una storia e di un significato. Se ricordiamo che l'Iraq, prima di divenire teatro di guerra, era uno dei paesi meno soggetti al fenomeno dell'estremismo islamico, e che lo stesso partito unico di Saddam, il Baath, è da sempre mal sopportato dai fanatici islamici, non appare più così scontato che Al Qaeda, l'ex apparato statale di Saddam, e l'attuale guerriglia anti-americana si siano saldate insieme. Certo queste forze sono accomunabili per l'odio verso gli Americani, nonché per il loro tentativo di generare il caos nel paese allo scopo di cacciare gli stranieri; tuttavia già nei mezzi impiegati sono molto differenti, ed anche in quello che vuole essere il fine ultimo della loro lotta: liberare il paese, alimentare il terrorismo internazionale, riportare al potere Saddam Hussein. Talvolta di fronte al dolore delle famiglie delle vittime si dice che i morti sono tutti uguali, è vero, i morti generano tutti lo stesso dolore, nessuno merita di morire, specialmente in una guerra, stupida e insensata; però bisogna saper ricacciare in un angolo la rabbia e i sentimenti, e tentare di usare la fredda ragione, differenziando tra chi viene ucciso perché rappresenta il tallone della potenza occupante, e chi viene ucciso indiscriminatamente all'unico scopo di generare terrore nella popolazione civile..

Questo non significa che qualcuno si meriti la morte e qualcun altro no, significa solo che uno dei due fenomeni è accomunabile con il dilagante terrorismo internazionale, l'altro è il risultato di una guerra, è il prodotto più naturale della guerra stessa: un'altra guerra, di reazione, sotterranea, che non guarda in faccia quando colpisce. Tutto questo cosa comporta? Che cosa cambia? Cambia tutto. Cambia la valutazione su questa guerra, valutazione non fine a se stessa ma di lezione per il futuro. Dovrebbe cambiare il modo in cui viene considerato ciò che sta accadendo in Iraq, non più l'operato di pochi terroristi, ma una lotta organizzata di una fascia consistente del paese, che mal sopporta l'occupazione americana, e che non necessariamente rimpiange Saddam. Cambia la valutazione degli esiti della guerra in Iraq:
infatti alla fine della guerra Bush e la sua amministrazione si erano abbandonati a toni trionfalistici, e la stessa maggioranza italiana aveva accusato la sinistra di catastrofismo, affermando che in Iraq tutto era andato bene, che il prezzo di vittime era stato basso, e che un passo importante era stato compiuto nel cammino della lotta al terrorismo. Ora invece appare evidente che ci si era abbandonati ad una troppo facile euforia, che troppo presto si era cantato vittoria. Ora Bush deve fare retromarcia nelle sue politiche unilaterali e con lui i suoi alleati. Ora l'Iraq non è più una dittatura, ma forse è divenuto un mostro peggiore, è un campo di battaglia, una ferita infetta del fanatismo, un luogo di ritrovo, addestramento e nascita di terroristi. E in questa confusione, dove nessuno sa chi è amico e chi nemico, cambia, soprattutto, il fatto che ormai non solo i terroristi fanno atti di terrorismo e non solo i guerriglieri fanno atti di guerriglia. Conoscere questa differenza, forse permetterà di cambiare, in futuro, la drammatica situazione presente.
Dunque in Iraq ci sono guerra e terrorismo, guerriglieri e terroristi, talvolta le cose si fondono, si sovrappongono, ma restano due fenomeni ben distinti. Rilevare tale diversità, ci dovrebbe far riflettere sulla pericolosità del fatto che ,ora ,vadano a sovrapporsi, aiutarsi ed allearsi; se invece pensassimo che sono la stessa cosa già in partenza, credo sottovaluteremmo la portata degli eventi. Perciò quando ascoltiamo le notizie provenienti dall'Iraq, non limitiamoci a subire la propaganda televisiva, che ci vuol far accomunare la reazione all'occupazione americana col terrorismo. Ricordiamo che c'è differenza tra guerra e terrorismo, che dal Settembre del 2001 al Novembre del 2003 molto, se non

tutto, è cambiato.

Tommaso Canetta

 

Storia di ponti e di guerra

 

In questo periodo si parla tanto della costituzione di una nuova Europa fondata su valori di pace e democrazia. Non bisogna però dimenticare che all'interno della stessa Europa fino a pochi anni fa odio e violenza erano all'ordine del giorno. Dieci anni fa, il 9 novembre 1993, un bombardamento serbo abbatteva il ponte di Mostar, città bosniaca, che rimaneva in piedi dal 1566. Questo episodio segnava l'apice di una guerra oggi dimenticata ma estremamente recente, vicina, cruenta... Più che per il relativo valore concreto del ponte, la cui caduta comprometteva solo in parte le comunicazioni, l'episodio è importante per il grande valore simbolico. Sin dalle sue origini, il Ponte Vecchio (questo il suo nome) aveva avuto l'importante significato di tramite tra Oriente e Occidente, tra Europa e ricco levante meta ambita di carovanieri; ma era anche il suggello al legame del popolo slavo, altrimenti diviso per religione, cultura e tradizione. Come scrive Paolo Rumiz su "La Repubblica", 2/11/2003, dal ponte si sentivano tutti gli echi della città lontana, si sapeva della vita della gente, arrivavano voci remote di vita prima e di guerra poi. L'abbattimento del ponte è stato lo spezzarsi di un cordone ombelicale, un colpo di spugna ad un passato di unità e convivenza da cancellare. Il forte valore simbolico del ponte è testimoniato dal fatto che un'impresa turca l'ha ricostruito a tempo di record, in soli cinque anni, anche grazie ai finanziamenti derivati dagli sponsor.

Questo anniversario però è importante anche per riportarci alla mente la guerra nei Balcani, conclusasi nel '96 con un trattato di pace ma niente affatto risoltasi. Fa inorridire il ricordo di uomini che prima appartenevano alla stessa nazione, magari anche alla stessa famiglia e poi si sterminavano in un modo così brutale e sanguinoso. Oggi dall'altra parte dell'Adriatico com'è la situazione? Che risultati ha ottenuto un decennio così terribile? Bene, nella ex-Jugoslavia si sono realizzati in pieno tutti i difetti dell'avvento del capitalismo: domina la corruzione e la distribuzione dei capitali ha creato un forte squilibrio. La disoccupazione è ovunque e si ricorre a ogni mezzo, lecito o illecito, per arricchirsi in modo smodato e squilibrato. Questo ha causato una forte emigrazione verso il nostro paese, dove ora è facile incontrare persone che raccontano bonariamente le loro tristi vicende non senza nostalgia per il defunto regime socialista del maresciallo Tito. Con l'avvento del nuovo secolo però questi paesi stanno lentamente incamminandosi verso l'omologazione al modello occidentale e la situazione sta con estrema difficoltà migliorando. A che prezzo però è stato pagato il passaggio al capitalismo! Sono passate morte e distruzione, sono rimaste mine e cumuli di macerie.
Tutto questo si è svolto con un tardivo e ridicolo intervento di USA e Nazioni Unite: evidentemente dove non ci sono risorse minerarie e basi logistiche gli uomini possono morire come mosche...

Jacopo Gandin

 

 

E’ sembrato doveroso anche a noi ricordare le vittime, italiane e non, dell’ attentato avvenuto a Nassiriya. Non abbiamo avuto il tempo di scrivere un articolo riguardo l’accaduto ma non vogliamo neanche dilungarci con esaltazioni patriottiche o con critiche riguardo alla partecipazione italiana in Iraq; già troppo e sconsideratamente si è parlato senza tener conto che a volte la riflessione ed il silenzio valgono molto di più…

 

 

Un premier in ginocchio che dà del tu ai potenti della Terra

 

Gli avvenimenti internazionali hanno l’effetto di volgere l’attenzione dell’opinione pubblica italiana su fatti che non la toccano direttamente. Guardare ai problemi degli altri, prima ancora che a quelli di casa nostra, ci colloca in una posizione di sereno distacco. Eppure nel nostro Paese esiste un elemento che ci riporta sempre al centro dell’attenzione (più spesso nel mirino) della stampa internazionale: questo fattore è Silvio Berlusconi. L’operato del Cavaliere in politica estera rappresenta la negazione stessa della diplomazia, e il trionfo del populismo più becero: battute da Bar Sport, barzellette di dubbio gusto, numerosi svarioni storici (Remolo è ancora lì che se la ride) nonché un’assoluta passività nell’affrontare, con il dovuto ritegno, il difficile ruolo che gli compete. Non si vuole qui ripercorrere la lunga serie di gaffes che hanno esposto l’intero Paese al ludibrio internazionale, ma solo perché la lista sarebbe lunga e monotona; si ha piuttosto la presunzione di capire a cosa sia dovuto il comportamento del Premier. Una qualunque analisi oggettiva circa la credibilità di cui Berlusconi gode all’estero giungerebbe al medesimo, triste risultato:. L’ironia del giornalista, malamente mascherata da un po’ di understatment molto inglese, è palese: il nostro Premier viene invitato a farsi un giro in un rodeo texano per aver conquistato la fiducia del presidente americano; intanto, il popolo italiano scende in piazza per manifestare il suo dissenso contro la guerra. Chiunque, in una situazione come quella, avrebbe avuto la buona creanza di astenersi da scenette di questo tenore, ma lui sembra andare diritto per la sua strada. Mi pare indubbio che buona parte degli scandalosi episodi che l’hanno coinvolto siano dovuti ad un suo spirito da cabarettista difficilmente soffocabile;

 

 

 

ma non è tutto così semplice: personalmente ritengo che sarebbe troppo riduttivo imputare questo comportamento ad una sua vocazione teatrale o a ragioni di mera piaggeria (leccapiedismo). Se fa ciò che fa, è perché sa ciò che fa. Ho avuto questa illuminazione osservando retroattivamente i momenti delle sue “uscite”: tutti corrispondevano a situazioni delicate che -guarda caso!- lo coinvolgevano direttamente. Dai processi di Milano alle più imbarazzanti riforme di governo, esiste sempre un diversivo che distolga l’attenzione del pubblico dall’operato suo e dei suoi collaboratori: non importa che siano delle corna in una foto ufficiale (e chi non l’ha mai fatto?) oppure una battutina sulle mogli degli avversari (una chicca, sentita al congresso di FI). Il meccanismo è ben collaudato: alla sparata segue la smentita, ma ormai il polverone si è alzato; come se non bastasse, il nostro eroe si chiude a riccio alimentando il ruolo di vittima che tanto bene gli calza, accusando a destra e a manca (più a manca, per la verità…) di non essere propositivi e di saperlo solo attaccare. E come dargli torto, effettivamente, quando lo si scredita soltanto per delle facezie -sempre male interpretate, avete notato-? E con Bush, forse che non si è costruito una “corsia privilegiata” all’interno dell’Amministrazione americana? E’ prevedibile che l’amico George correrà in suo aiuto, qualora lui glielo chiedesse. In definitiva, trattandosi di un abile imprenditore con ottime capacità di comunicazione, credo occorra non sottovalutarlo, né tanto meno denigrarlo: sfidiamolo invece sul terreno della politica, chiedendogli ragione delle scelte che stanno cambiando (in peggio) il Paese. Del resto, è comprensibile che dagli italiani si levi un coro di sconforto: Berlusconi, si contenga!

Jacopo Busnach Ravenna

 

Croce, crociate e crocifissi.

 

E’ ormai di qualche giorno fa la sentenza del giudice Mario Montanaro, del tribunale dell’Aquila, che ha sancito che nella scuola del piccolo paese di Ofena, in Abruzzo, non dovesse essere più esposto un crocifisso per aula, come aveva chiesto Adel Smith, uno dei rappresentanti delle comunità islamiche in Italia che ha dei figli che frequentano la scuola del paese abruzzese. Subito, la condanna della Chiesa e del mondo politico non si è fatta attendere: molti hanno parlato “di attacco alle radici culturali dell’Italia”, e il ministro della giustizia, il leghista Castelli, ha mandato degli ispettori al tribunale del capoluogo abruzzese per controllare l’operato dei giudici.  Le polemiche, però, non sono finite qui. Lo stesso presidente Ciampi ha detto, citando Benedetto Croce, le seguenti parole: <<Il crocifisso è il simbolo dei valori che stanno alla base della nostra identità culturale. Dentro di noi, nessuno non può dirsi cristiano!>>. La condanna politica, quindi, è stata unanime, e persino esponenti della Sinistra hanno bollato la sentenza come “ingiusta e irresponsabile”.

 L’Italia è l’unico paese europeo, a parte forse la Spagna e il Portogallo, ad avere ancora i crocifissi esposti nelle aule e ad avere addirittura una legge, del periodo fascista e non ancora abrogata, che prevede che in tutte le scuole ed in tutti i tribunali sia esposto per ogni aula un crocifisso. La stessa Francia, che ha una percentuale minore di cattolici dichiarati ma maggiore di cattolici praticanti rispetto all’Italia, dall’inizio del Novecento ha vietato l’esposizione di crocifissi o di immagini religiose in locali pubblici: una Francia che, però, è il paese dove il principio di uguaglianza è stato coniato, dove con la rivoluzione francese il clero è stato giustamente perseguitato perché ricco di beni e alleato della monarchia, dove è nata una delle prime repubbliche del mondo. Purtroppo per noi, l’Italia non è la Francia. Non per questo, però, non abbiamo anche noi l’obbligo morale di rimuovere i crocifissi dai locali pubblici.

Lo stato italiano, infatti, dal 1948 si dichiara uno stato laico, che non ha nessuna religione di stato e che accetta che qualsiasi religione venga praticata senza limiti, purché non vada contro il codice civile e penale del Paese. E allora, perché i crocifissi, simboli lampanti di una religione, vengono ancora esposti in locali appartenenti ad uno stato laico che dovrebbe impedire che essi vengano esposti? La verità è che il potere della Chiesa, che nella politica si fa sentire molto, si fa sentire ancora di più nella società civile. Per questo nessun partito si è azzardato, per non perdere voti, ad approvare la sentenza di Montanaro e l’ha invece condannata. Le ragioni della condanna sono però diverse fra loro. La destra di governo, ad esempio, nel suo classico stile filo–clericale e reazionario, si è scagliata contro il giudice abruzzese, parlando di sentenza “assurda, immorale, contro ogni principio etico”, mentre il centrosinistra ha avuto voci diverse. I cattolici della Margherita hanno condannato la sentenza in maniera ferma, mentre i Democratici di Sinistra, ribadendo l’importanza della laicità dello stato, hanno detto che la sentenza è un regalo agli estremisti di entrambe le parti, cristiani e musulmani. Insomma, stiamo assistendo ad una crociata moderna. Una crociata che vede schierati, da una parte, le forze reazionarie e conservatrici del paese, che si fingono o sono realmente “bigotte” e che difendono simboli d’altri tempi, e dall’altra uomini che, giustamente, pur essendo una piccola minoranza, difendono la laicità dello stato in tutte le sue forme, dicendo che i simboli di una religione precisa non possono essere esposti in locali pubblici.  Ecco, questi sono i due fronti che si sono sviluppati da tempo nel paese. Sinceramente, condivido il secondo pensiero, e credo che i crocifissi, che rappresentano una religione ben precisa, non possano stare in una scuola statale che si dichiara laica e che quindi, almeno a parole, dovrebbe vietare qualsiasi simbolo religioso. Se proprio una persona ci tiene al crocifisso in maniera convinta, se l’appenda in casa sua. In casa sua, non in una scuola pubblica. Una scuola che è laica.

Luca Quaglia (IV G)

 

Benvenuti alla John Berchet High School

 

"Gentile clientela, vi diamo il benvenuto alla John Berchet High School. Vi accoglieremo con una grande convention in un teatro che sarà aperta dall'inno del nostro istituto e che si concluderà con la consegna di una maglietta con il nostro logo da sfoggiare orgogliosi per le vie della città; in seguito vi verrà comunicato il giorno del ballo della scuola e un questionario perché voi ci possiate dare il vostro indice di gradimento. Vi ringraziamo fin d'ora di aver scelto la nostra compagnia". Capisco che il tono di queste prime righe possa sembrare polemico ma non credo che nessuno possa negare che negli ultimi anni la nostra scuola sia diventata sempre più simile ad una azienda e si sia preoccupata di attirare il maggior numero di clienti possibili puntando su campagne di immagine che nulla hanno a che fare con un reale miglioramento del prodotto offerto. Cosa c'è di male nel avere un logo e un inno o nell'affittare un teatro per l'accoglienza alle quarte ginnasio? Assolutamente nulla, prese una per una sono iniziative innocue e forse anche lodevoli, ciò che mi preoccupa è però il trend, andando avanti così dove finiremo?

L'anno scorso ho studiato in una scuola americana in Missouri e ho avuto l'occasione di conoscere da vicino il modello che sembra essere diventato il nostro riferimento. Altro che inno e logo! Alla Fort Zumwalt West High School di St. Louis avevamo anche una mascotte (il giaguaro), dei colori sociali (viola, argento e nero), una bandiera (di una bruttezza indescrivibile), tre balli della scuola all'anno, competevamo con altre scuole in ogni possibile sport o attività, facevamo le giornate di orgoglio vestiti tutti di viola,  e vendevano un'intera gamma di prodotti con il logo (dalle mutande alle tovaglie, dai diari ai pupazzi). Ovviamente in questa orgia di attività e marketing l'insegnamento veniva lasciato in secondo piano, quasi considerato un fastidioso contrattempo.

E' chiaro che è una provocazione, che noi siamo un liceo serio e che non arriveremo mai a quel livello di fuffa ma provate a pensare: una volta scelto un logo cosa ci impedisce di sceglierci una mascotte, dei colori sociali eccetera eccetera? Ad un certo punto dovremo pure dire basta, fissare la famosa linea del Piave oltre la quale non spingerci. Ne saremo capaci?

Io non nego che questo processo è anche dovuto a politiche nazionali (di sinistra come di destra) a cui dobbiamo adattarci per sopravvivere ma ho l'impressione che il Berchet si stia mostrando particolarmente zelante ed entusiasta  nel seguire queste folli direttive.

Una volta lanciato l'allarme contro l'aziendalizzazione della nostra scuola vorrei fare un'altra considerazione: se proprio dobbiamo lanciare una campagna di marketing per andare incontro ai gusti della clientela perché non consideriamo i gusti degli studenti, che alla fine sono coloro che veramente usufruiscono del servizio, e non quelli dei genitori? Mi spiego. Siamo sicuri che i ragazzi di quarta ginnasio il primo giorno preferiscono ascoltare l'inno in un teatro dove magari non conoscono nessuno piuttosto che andare in classe, cominciare a conoscere prof e compagni e magari fare un giro della scuola? Quella del teatro non è forse un esigenza dei genitori apprensivi che vogliono accompagnare i loro figli anche il primo giorno di scuola superiore? Io preferirei andare in classe piuttosto che a teatro con mia mamma ma ovviamente non posso pretendere di sapere cosa preferirebbero gli altri. Faccio solo notare che al comma cinque del articolo due dello statuto degli studenti è prevista la possibilità di chiamare gli studenti, anche su loro richiesta, ad esprimere un'opinione mediante una consultazione; sarebbe forse interessante sapere cosa ne pensano i ragazzi, specialmente quelli che a quella giornata a teatro hanno partecipato direttamente.

Rocco Polìn

 

L’autonomia scolastica

 

Nonostante il nome attraente, l'autonomia scolastica ha risvolti molto negativi per le scuole pubbliche e per gli studenti perché tende a creare scuole di serie A e scuole di serie B. Anche considerato il fatto che l'autonomia scolastica è uno dei principi base della nuova riforma Moratti (come lo era stata di quella Berlinguer) mi sembra importante spiegare cosa sia.

Oltre a concedere alle scuole autonomia didattica e organizzativa, essa introduce criteri aziendali nella gestione delle scuole. Come si sa le aziende sono giudicate in base alla produttività e allora ecco che donna Letizia crea una lista nera di scuole improduttive, cioè scuole con un rapporto docente-studente inferiore ad 1 a 10. Ed ecco classi accorpate, professori licenziati e soprattutto l'inizio della concorrenza tra scuole per accaparrarsi più alunni possibili.

La scuola-azienda comincia allora a farsi pubblicità utilizzando i più moderni mezzi che il marketing aziendale conosce. Ricordiamo il contestatissimo video delle letterine-letterate, il bollino blu (come le banane) costatoci parecchi milioni ma di cui possiamo bullarci con le mamme dei ragazzi di terza media e la giornata al teatro Carcano.

Nel frattempo i finanziamenti statali diminuiscono del 30% (fonte: CGIL scuola). A questo punto della storia abbiamo scuole con un disperato bisogno di soldi da destinare alla propaganda per evitare la chiusura a cui lo stato diminuisce i finanziamenti.

 

 

Che fare? 1) Aumentare il contributo d'iscrizione (e il principio di una scuola pubblica gratuita?) 2) legarsi ad enti privati, quindi aziende, che ci sponsorizzino. Cosa vogliono le aziende in cambio? Pubblicità sui siti delle scuole (e va ancora bene), sfilate all'interno delle stesse (come è successo al Parini), vendita di mailing list degli studenti a compagnie assicurative (Corriere della Sera, 18 marzo 2002)... Ci chiediamo perché non vendere addirittura il nostro nome (dove vai a scuola? Al liceo classico Toyota), o spazio nelle circolari ("la II H esce un'ora prima. Si ricorda agli studenti di bere sempre Coca Cola"). Ovviamente le scuole del centro, più note e con studenti più ricchi, avranno buoni sponsor, le altre si arrangino.

C'è un altro aspetto per quanto riguarda i legami tra le aziende e la scuola che però interessa soprattutto gli istituti tecnici e simili: gli stage aziendali. In pratica gli studenti sostituiscono gratuitamente dei lavoratori per svolgere mansioni di basso profilo. Certo in alcuni casi ciò può essere utile ma troppo spesso gli studenti svolgono mansioni utili più all'azienda che alla loro formazione.

Ciò che personalmente mi terrorizza è come questo processo di privatizzazione e aziendalizzazione della scuola ci venga presentato come necessario ed ineluttabile tanto dai governi di destra che da quelli di centrosinistra.

Non lasciamo che il sapere diventi privilegio di pochi.

Fonti Csp-Cobas scuola

Carlo (IH)

 

Cari lettori, ci rendiamo conto che la grafica di questo  primo numero del Flogisto lascia alquanto a desiderare. Se qualcuno di voi ritiene di essere in grado  di elaborare qualcosa di più artistico non esiti a contattarci. Il nostro indirizzo é flogisto@liceoberchet.it

Cari lettori (e 2), come già detto aspettiamo i vostri articoli. Vi preghiamo di spedirli al nostro indirizzo entro il primo di Dicembre. Per informazioni rivolgersi ai ragazzi del Collettivo.

 

Il valore della giustizia. Il messaggio del Critone

 

In gabbia. Incatenato, picchiato, ingiustamente insultato. Socrate aspetta la morte eppure é sereno; la nave sacra, di ritorno da Delfi, sta per arrivare in porto. Secondo un'antica tradizione le esecuzioni venivano sospese durante il viaggio di questa imbarcazione. Ormai manca poco, é stata avvistata a Capo Sunion, giungerà presto! Il fedele amico Critone si reca dal maestro la cui morte é imminente per tentare l'ultima volta di convincerlo a fuggire. Lo scongiura di salvarsi, per gli amici, per i discepoli, per i figli che senza di lui soffriranno una perdita incolmabile. "Fuggi Socrate!". Critone é un fiume di parole, rimprovera l'amico, non capisce perché sia così tranquillo, così deciso nel suo folle proposito. Ne ha la possibilità, è stato condannato ingiustamente, gli amici sono pronti ad aiutarlo, a scappare, a ribellarsi.

Socrate tace, pensa, riflette, guarda Critone che pare così agitato. Di fronte alla possibilità di salvarsi la vita con la fuga Socrate sceglie di rimanere in prigione testimoniando la sua fiducia nella legge: davanti a lui sono due vie, quella mutevole e ingannatrice della gente comune che lo induce a considerare solamente il presente, il suo tornaconto e la voce della coscienza che lo esorta a considerare ciò che è giusto e morale.

 

Fuggire equivarrebbe ad ammettere che la legge ha valore solo se è dalla nostra parte ma Socrate sa che la forza della legge sta nel suo valore assoluto, nel sottomettersi ad essa qualunque sia il verdetto. Quella di Socrate non è resa passiva né incondizionata sottomissione bensì la libera scelta di chi, dopo aver cercato di persuadere la giuria del suo errore, si sottopone comunque alla legge perché crede nel principio su cui essa si fonda, non ricorre alla fuga né alla violenza. La violenza é l'imposizione agli altri di ciò che si ritiene giusto o utile, la giustizia al contrario si fonda su un libero patto tra uomini basato su valori universali, necessari. Fuggire equivale a rompere questo patto, a tradire la giustizia, a non credere nel suo valore. Socrate crede in questo principio con una forza e una coerenza che Critone, chiuso nel suo gretto mondo di pareri individuali e interessi personali non può neanche minimamente comprendere. E' tranquillo, sa di fare la cosa giusta perché morendo ingiustamente darà un fulgido esempio di coerenza morale e donerà nuova forza all'irrinunciabile principio della giustizia.

Il messaggio platonico é moderno, parla di non-violenza e di coerenza morale. La grandezza di Socrate sta nella sua incredibile devozione ad un principio, quello della legge vista come unica protettrice dei diritti di tutti; una devozione che lo porta a sacrificare serenamente persino la sua stessa vita.    

Andrea Lisa

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Recensione del Concerto dei Muse

Milano 27 ottobre 2003

Con Absolution, l'ultimo dei quattro album sfornati dai Muse, la band inglese ha sviluppato il suo sound originale: infatti questo é un album più variegato dei precedenti che alterna pezzi lenti e rilassati (Blackout) ad altri più energici (Interlude) ricordando vagamente i Radiohead. Oltre alla loro evoluzione per quanto riguarda i lavori di studio, i Muse hanno migliorato notevolmente anche i live; il 27 ottobre, data milanese del tour di Absolution, erano carichi al massimo, così come la folla che riempiva il Mazda Palace, che li ha accolti urlando. La voce di Bellamy, piena di grinta, é riuscita ad ammaliare il pubblico stupendolo con le performances al pianoforte (che fosse una tastiera?) di New Born e Feeling Good, brani tratti dal precedente album.

I Muse son riusciti a creare un'atmosfera intima con i fans, intrattenendoli per quasi due ore; hanno aperto con Apocalypse please, suonando 19 brani; da "Sing for absolution" a "Citizen erased", passando per la dolce "Endelessy" e senza dimenticare uno storico pezzo del primo album, Muscle Museum. I pezzi più attesi li hanno conservati per il finale: ecco allora Bliss, accolta dal pubblico con un'ovazione,  Time si running out, l'emozionante ultimo singolo, e Plug in baby, che scatena un impetuoso pogo tra le prime file, accompagnato, sul finire, dall'uscita di palloni bianchi rimbalzanti sul pubblico. Dopo questa grande carica di energia, i Muse terminano lo show con Stockolm Syndrom, una delle tracce più vivaci di Absolution.

Giulia Tini e Flavia Salvatore

 

I rapporti tra Kant e Beethoven:il tema della libertà e natura nell'arte beethoveniana.

 

Un poeta che molto contribuì alla formazione di Beethoven fu Friederich Schiller (1759-1805). E' opportuno ricordare che Schiller ha rivendicato, contro l'antistoricismo illuminista, l'ideale di Humanität e soprattutto che sia la sua vita che la sua opera si ispirano ad un profondo e

insopprimibile bisogno di libertà. Nel Saggio sulla poesia sentimentale, Schiller, ponendo le basi di una nuova estetica, distinse tra la poesia ingenua, dono spontaneo della natura e prerogativa del genio puro, e poesia sentimentale, frutto di meditazione e di ricerca e pertanto inferiore.

Questi concetti ci portano nel vivo della spiritualità di Beethoven; è assai probabile che questi, per la suggestione di tali idee shilleriane, sia stato indotto a leggere Kant ponendo l'accento sul momento etico-estetico delle sue dottrine. Beethoven infatti, considerando il tentativo del filosofo di Konigsberg di recuperare l'essere intelligibile dell'uomo, si è indubbiamente richiamato a quegli aspetti del kantismo che definiscono l'autentica essenza dell'uomo in senso metafisico, ovvero che lo intendono come libertà.

Ed ecco la radice del romanticismo beethoviano: la libertà, in quanto spontanea, sta alla base della creazione artistica.

L'idea di libertà pone tuttavia il problema del rapporto tra uomo e natura: questa a volte si configura come un 'istanza negatrice di fronte alla libertà; di qui il carattere drammatico che spesso assumono l'impegno e l'azione morale E tale insanabile divario tra essere (Sein) e dover essere (Sollein), elemento specifico ed insopprimibile della morale kantiana, viene da Beethoven trasvalorato in una dialettica drammatica, nella contrapposizione cioè, posta alla base dello schema sonastico, tra il richiedere e il negare. Nel primo Concerto per pianoforte tutto ciò viene messo in evidenza dal dialogo tra pianoforte e orchestra: questa esprime il senso dell'imperativo categorico, mentre l'altro risponde come a singhiozzi. Del resto non è solo dalla Critica della ragion pratica e dalla Critica del Giudizio che Beethoven guarda a Kant, ma anche, per esempio, con il breve ma importante scritto Per la pace perpetua.  Il sogno di una comunità pacifica, concorde e felice e soprattutto di uno stato sociale di libertà nella natura, sta a fondamento dell'ispirazione dominante nella Sinfonia Pastorale e nella Nona Sinfonia.

Yoshiiro Shirai

 

CINEMA

Elephant

A dimostrare quanto il documentario di Michel Moore, "Bowling for a Columbine", sia entrato nell'immaginario collettivo, anche Gus Van Sant si confronta con il tema delle armi da fuoco negli Stati Uniti, "un problema ignorabile come un elefante in salotto". E' questo infatti il detto che ha ispirato il titolo del film Elephant che ha a sua volta preso spunto dall'omonimo documentario di Alan Clarcke del 1989.

Il film é ambientato a Portland, nell'Oregon, in uno dei tanti licei dei sobborghi americani e si svolge nell'arco di  una giornata, una come tante: si seguono le lezioni, si spettegola, si gioca a football e si cazzeggia in corridoio. Premiato all'ultimo festival di Cannes con un premio alla regia ed un'inaspettata palma d'oro, il regista segue i personaggi con lunghi piani di sequenza che fanno entrare perfettamente lo spettatore nella soggettività dei ragazzi.

 

 

Improvvisamente esplode la violenza di due studenti come tanti, soltanto meno apprezzati e più soli, che in pochi istanti scaricano spietatamente le pallottole sui compagni, sugli insegnati e su loro stessi. Queste scene sono rappresentate con una freddezza incredibile, analoga a quella dei videogames (paragone suggerito dallo stesso regista in una scena precedente alla strage). La strage non è sottolineata da una particolare colonna sonora, il regista non cerca di sottolineare alcuni momenti, di suscitare emozioni particolari né tantomeno di risparmiare gli spettatori dai momenti più crudi. La regia è tanto fredda, indifferente e documentaristica da sembrare inesistente.

Van Sant sceglie attori emergenti e pochissime musiche che rendono il film ancora più vero.

Viola d'Acquarone

 

 

Notizie dalla Metropoli

A cura di Pietrone e Davide

 

Forse qualcuno di voi ci ha sentiti passare suonando campanelli,cantando e urlando a squarciagola.

Forse qualcuno di voi ci ha visti passare con le nostre bici colorate,con le nostre luci ad intermittenza psichedeliche,con i nostri catarifrangenti.

E forse qualcuno di voi è stato fermato da una folla di pazzi scatenati nel bel mezzo di un incrocio e ci ha maledetti in queste fredde notti invernali.

Noi siamo il popolo di CRITICAL MASS ,un movimento di ciclisti (non solo Milanese bensì mondiale) che ha come obiettivo quello di far vedere che una città come la nostra non appartiene alla sola prepotenza di “uomini scatoletta” (automobilisti) o alla velocità di anacronistici “centauri” ma anche a noi amanti del vento nei capelli, delle risate in compagnia, sognatori di una Milano ciclabile!

Se anche voi non sopportate l’aria pesante di Milano , l’indisponenza di auto e motorini venite con noi a vivere la vera città,unitevi al popolo della MASSA CRITICA ogni giovedì alle 22:00 in p.zza Mercanti.

Ovviamente in bici!!!    

 

APPUNTAMENTI REGGAE

Per tutti i massicci amanti della reggae culture una serie di appuntamenti a cui non ai può mancare:

-giovedì 4: Sergente Garcìa

-giovedì 18:Anthony B

-giovedì24:Skatalites

appuntamento @ rainbow club.

 Inoltre tutti i giovedì sera @ la Breccia inna dance hall (via Confalonieri, 10).

*COP9

Abbiamo già incominciato a parlarne e potete vedere un cartellone nel corridoio che porta alla palestra maschile:stiamo parlando del COP9 ,un summit mondiale (esclusi gli U.S.A.) che si svolgerà nel dicembre di quest’anno a Milano.Obiettivo del vertice è quello di convincere il  governo russo a firmare il trattato di Kyoto ,che regola le emissioni dei gas serra. Per maggiori informazioni potete chiedere di Pietro (IIIB) e Andrea (IID).

*Al numero 30 di via Moscova ha aperto la prima biblioteca multimediale interattiva di Milano con 118 banche dati (che permettono l’accesso a informazioni di ogni genere),290 c.d.rom d’argomento letterario,artistico sociale,1000 film in vhs e dvd.

 

 

Non solo Milan o Inter

Domenica 2 Novembre, ore 16'30, a casa Chiabrando a vedere la partita. Bologna-Samp, naturalmente. A dire la verità, a parte la gioia dei 3 punti appena (giustamente) conquistati, il mio animo di tifoso blucerchiato è appagato dalla bellezza della partita. Perché Diana, Volpi e Donati sanno creare un bel gioco e là davanti abbiamo, oltre che giocatori capaci di segnare in tutte le occasioni (Bazzani e Flachi), anche virtuosi talenti in grado di farlo quando meno te lo aspetti (vedi Doni, proprio quella domenica, o l'utilissimo giapponese Yaganisawa). Il giorno dopo passo l'intervallo a parlare con Rocco. Di Bologna-Samp, naturalmente. Scambio di punti di vista perché (per chi ancora non lo sapesse) anche Rocco è orgoglioso tifoso doriano.

 

Sull'onda dell'euforia ci proponiamo di trovare un pub dove andare a vedere insieme la prossima partita. E allora mi chiedo: "perché non allargare questa idea a tutti i tifosi o simpatizzanti della Samp qui al Berchet?" E allora l'uscita del giornale è un'occasione troppo ghiotta per lasciarsela scappare: "BLUCERCHIATI DI TUTTO IL BERCHET UNITEVI" Slogan a parte, do la mia disponibilità per organizzare un gruppo domenicale per andare a vedere le partite. In futuro oltre a Milan-Samp, che ritengo un dovere morale, mi piacerebbe anche fare qualche trasferta al Marassi. Per concludere candido Moris Carrozzieri per la nazionale.

Giancarlo Perinetti 3A